Quattro Apocalissi di Domenico B. D’Agostino, una lettura affascinante ed originale

Copertina del libro di Domenico B. D'Agostino "Quattro Apocalissi"
Copertina del libro di Domenico B. D'Agostino "Quattro Apocalissi"

“Cortese lettore, giacché non sia vero, come voglion zerte dicerie d’hoggi, che debba esser fatto vietato incominciar le cose dalla lor fine, ti sia d’utile introduttione ‘l conoscere due o tre quistioni intorno a le cose che t’appresti a leggere”.

Con un’avvertenza – che ricorda “Al lettore”, poesia in cui Baudelaire, nei suoi fiori malsani, scrive all’ “ipocrita lettore, mio simile, fratello” – Domenico Benedetto D’Agostino coinvolge personalmente chi si appresta alla lettura, ben spiegando come la scrittura sia un gioco, un gioco a rimpiattino col Tempo che fugge, una ricerca di linguaggio senza pretesa di unicità, ma, piuttosto con la convinzione di una universale diversità. E con questo monito, con questo “manuale di istruzioni”, l’autore apre le sue “Quattro Apocalissi” uscito da pochi giorni nelle librerie per i tipi di Qed.

Alla sua seconda fatica letteraria, D’Agostino, incuriosisce fin da subito con il suo linguaggio sperimentale che, inevitabilmente, fagocita e proietta in un’altra epoca riuscendo ad evocare un mondo affascinante e ricco di simbolismo, in cui la comunicazione tra uomini e animali si configura come un filo conduttore tra passato e futuro. La lingua del racconto è quella del Seicento, difatti l’autore presenta l’opera come un vecchio manoscritto del 1638 – strizzando forse l’occhio al caro vecchio Manzoni – composto in occasione del terremoto che in quel secolo devastò la Calabria. Così che, possiamo dire, anche” Quattro Apocalissi” è scritta con la lingua delle catastrofi.

Copertina del libro di Domenico B. D'Agostino "Quattro Apocalissi"

L’opera si staglia come un affascinante esperimento letterario, un romanzo, quello di D’Agostino, che non solo narra, ma invita a riflettere su questioni esistenziali e morali attraverso l’originale linguaggio e le metafore incisive. In un contesto dove gli animali, riuniti in un’assemblea tanto singolare quanto necessaria, si interrogano sull’opportunità di avvisare gli esseri umani di un’imminente catastrofe, l’autore riesce a creare un ponte tra il mondo animale e quello umano, evocando un tempo in cui entrambi comunicavano in armonia.

Il linguaggio utilizzato è una danza di parole che ricorda le Sacre Scritture, rievocando il Giardino dell’Eden, dove uomini e animali condividevano lo stesso linguaggio. Questa scelta non è casuale: l’autore gioca con l’idea che la comunicazione tra le specie possa essere una chiave per la comprensione e la salvezza. Ma il dilemma che si presenta è profondo e complesso: è giusto per gli animali intervenire nel corso naturale delle cose?

Le disquisizioni vengono affidate a quattro animali.

“Mi pareva di poter sentire ancora le voci, quell’acuta e saggia del Gallo mio, quell’astuta e fredda de la Volpe, quella malandata dell’Upupa, quella superba e fiera de lo Sciacallo, e quella sonnecchiosa e finissima del Pesce”.

Il passaggio in cui il narratore, alludendo al parere della Volpe, solleva la questione se “spiccicar favella alli umani” possa realmente interessare gli animali, è un momento importante. Qui, l’autore non si limita a esporre un pensiero, ma invita il lettore a meditare sulla responsabilità che accompagna la conoscenza e la comunicazione. La Volpe, simbolo di astuzia e pragmatismo, rappresenta un pensiero critico che si oppone all’idea di intervenire, suggerendo che accettare il corso delle cose può essere, in fin dei conti, la scelta più saggia.

Tutte e quattro le orazioni, con gli animali parlanti come nelle favole di Esopo, sono una riflessione profonda sulla storia, sulla responsabilità morale e sul legame intrinseco tra tutte le creature, che forse, in fondo, non sono poi così diverse l’una dall’altra.

La bellezza del racconto risiede nella sua capacità di esprimere concetti complessi attraverso una prosa ricca e affascinante, dove il dialogo diventa l’arma principale per esplorare la verità. Le parole non sono semplicemente veicoli di significato, ma strumenti di potere, in grado di unire o dividere, di salvare o condannare.

“Per tre hore studia la Torah, per tre hore judica l’genere umano, per tre hore interviene a favore delli oppressi e per le ultime tre ora gioca col Leviatano”.

Non sappiamo cosa l’autore abbia fatto nelle ore precedenti, ma possiamo certamente intendere che nelle ultime tre abbia giocato col Leviatano.

Immagine di Domenico B. D'Agostino

Un altro successo targato Qed Editore che sicuramente stupisce per originalità; continuate a seguirci per altre recensioni.

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