Antonio Grosso e il suo elogio della follia
Grande successo ieri sera al Teatro Grandinetti per “Una compagnia di pazzi “di Antonio Grosso rappresentata nell’ambito della rassegna teatrale 24/25 di Vacantiandu con la direzione artistica di Nico Morelli ed Ettore Palmieri.
Una messa in scena, quella proposta dall’artista – che di questa pièce è autore, regista e attore –, che, intrecciando la semplicità dei gesti e della narrazione con l’ingarbugliato e tremendo “mondo di fuori”, arricchendolo con momenti di intelligente e mai forzata comicità, ha offerto una rappresentazione al contempo realistica e metaforica, sospesa tra la realtà e l’immaginazione, di un manicomio quasi dismesso dell’epoca fascista, abitato, sul finire della II Guerra Mondiale, da tre degenti, due infermieri ed il direttore.
Sono questi i personaggi del dramma, che vivono proiettati su di un palco per metà a loro precluso dall’allestimento di una grande porta divisoria, dietro la quale campeggia il buio del mondo “normale”, di quel mondo che volle la dittatura e la guerra.
La storia è quella di un abbandono dei protagonisti al loro vivere quotidiano, interrotto dalla scoperta di una cassaforte nell’ufficio del direttore, il cui possibile contenuto anima gli attori, che cominciano ad immaginare e a programmare un futuro lontano dal manicomio ed una vita nuova.
Ma la loro speranza rimane solo un ottimismo della volontà, perché dalla porta che avevano aperto alla fuga, fa un ingresso prepotente il pessimismo della ragione, che, dinanzi alla forza del male inesorabile, rappresentato dalla furia nazista, amaramente si riconosce disarmata e perdente ma forte nel sentimento della dignità e della libertà.
La fucilazione che conclude il dramma esprime fedelmente il senso complessivo dell’opera teatrale, mentre la neve cade copiosa: “quando nevica non è mai una cosa buona”.
La storia ben racconta ciò che noi tutti viviamo, più o meno bene, tra i momenti felici dei balli e quelli crudeli delle mortificazioni, in questo manicomio che è la vita, un manicomio finto, però, perché la pazzia è teatrale, è il frutto della nostra recita collettiva. Ci aggrappiamo ai piccoli ruoli che rivestiamo nella società e magari a volte rivendichiamo la nostra originalità, fingendo ossequio al potere. Il direttore del manicomio con i suoi veri e finti saluti fascisti, gli infermieri intonano ironicamente le canzoni del ventennio, i pazzi che si ripiegano e si rifugiano nella loro malattia, sono delle figure di grande potenza scenica che portano con originale efficacia il sentimento drammaturgico dell’autore. Da questo mondo convenzionale, noi non possiamo scappare, o forse neppure dovremmo, perché, pur nella sua mediocrità, questo è un mondo migliore di quello che è fuori, migliore del mondo dei mostri che spacciano per ragione quella che è la loro vera irrazionale follia.
Alla fine dello spettacolo, tra gli applausi del pubblico presente, Antonio Grosso ha voluto dedicare la serata a Mahsa Amini – la ragazza iraniana uccisa dopo aver indossato l’hijab in modo sbagliato – simbolo della libertà e della condanna a qualsiasi forma di violenza.
Lo spettacolo è inserito nel Progetto “Vacantiandu 2024” finanziato nell’ambito degli Eventi di promozione culturale 2024 Pac 2014/2020 Azione 6.8.3 della Regione Calabria.
foto di Vacantiandu
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